Negli anni scorsi, decine di migliaia di uomini hanno invaso gruppi privati su Facebook con lo stesso copione: foto delle mogli in pigiama, in costume, mentre dormono. Commenti come “Che culo!”, “Vorrei essere al posto tuo”, “Sei un uomo fortunato”.
Gruppi con nomi come “Mia moglie”, “Wife at home”, “Le mogli degli altri” sono diventati luoghi di condivisione, complicità maschile, voyeurismo di coppia.
A prima vista, sembra un gioco innocuo. In realtà, dietro c’è un meccanismo di narcisismo, controllo e violenza psicologica spesso invisibile. Ne parliamo con il dottor Ezio Pellicano, psicologo e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale che da anni collabora con la nostra associazione.
“Non è un gioco”: il narcisismo come motore
Perché tanti uomini condividono le mogli online? È solo un modo per scherzare tra mariti?
Dott. Pellicano: No. Dietro lo scherzo si nasconde una violenza simbolica, silenziosa ma reale. Non si tratta di semplice goliardia tra uomini o di un gioco tra partner, lo scopo è quello di riempire un vuoto emotivo con l’approvazione altrui. Molti uomini, stanchi della routine di coppia, alla ricerca di una propria identità maschile, cercano emozione nei like, nei commenti sessualizzati, nella complicità con altri e lo fanno esponendo il corpo della moglie. È un classico meccanismo del narcisismo tossico: l’identità maschile non si costruisce sull’autostima, ma sul riconoscimento esterno. Più la vita reale perde intensità, più si cerca conferma in spazi dove il prezzo della dignità altrui è basso. La moglie non è più una persona: diventa uno strumento per riflettere un’immagine di sé desiderabile, potente, invidiato.
Social come valvole di sfogo: la crisi dell’identità maschile
È colpa dei social, o è un uso distorto?
Dott. Pellicano: I social non sono neutri: sono diventati valvole di sfogo emotivo. Per molti uomini, soprattutto in fasi di crisi di coppia o insoddisfazione personale, questi gruppi sono un modo facile per rompere la monotonia. Con un click, ricevono attenzione immediata: “Mi sento desiderato. Mi sento potente. Esisto.”Ma dietro c’è spesso una fragilità emotiva — noia, vuoto relazionale, crisi dell’identità maschile tradizionale. Così, la noia alimenta il narcisismo digitale. Il social non è più uno spazio di condivisione, ma un palcoscenico per il controllo e l’ammirazione. Il problema? Questa “fuga” non guarisce la noia. La nasconde. E nel farlo, sacrifica rispetto e dignità della partner.
Tre forme di violenza nascosta
Apparentemente sembra non esserci cattiveria (è solo uno scherzo) e malizia,. Possiamo parlare di violenza?
Dott. Pellicano: Sì. Comprendere non significa assolvere. Anche senza cattiveria, condividere qualcuno senza consenso è violenza psicologica. E quando si nasconde dietro un “era solo uno scherzo”, diventa ancora più pericolosa. Possiamo individuare tre manifestazioni di comportamenti violenti:
- Il falso consenso
“Ma lo sapeva, anzi ci scherza!”
Spesso il consenso è ambiguo o forzato. La donna magari ha detto sì a una foto condivisa tra amici, ma non sa che finisce in gruppi con migliaia di sconosciuti, con commenti espliciti. Il consenso deve essere informato, libero, revocabile. Altrimenti, è violazione.E qui nasce la prima violenza: la banalizzazione del confine personale.
- L’oggettivazione come normalità
Anche una foto innocua — una donna in pigiama, in giardino — viene sessualizzata dal contesto. Il commento collettivo la riduce a un corpo: “Che bel culo!”, “Vorrei essere al posto tuo!”. Il marito la trasforma in un trofeo: “È mia moglie, posso farne quello che voglio”. Questa è violenza simbolica: la donna non è più una persona, ma un’estensione dell’identità maschile.
- La comunità come complice
Questi gruppi creano una normalizzazione tossica. L’idea che un uomo “fortunato” sia quello con la moglie “bella da mostrare”. Che il valore della coppia si misuri sulla condivisione del corpo della partner. Che il voyeurismo sia “complicità tra uomini”. Così, ciò che è inappropriato diventa “normale”. La violenza non è più individuale: è un rituale sociale.
Dal punto di vista legale, questi comportamenti possono configurare:
- Violenza psicologica (art. 572 c.p.)
- Abuso di immagine (art. 615-bis c.p.)
- Condivisione non consensuale (GDPR)
- Revenge porn in senso lato, quando l’immagine serve a ottenere approvazione sociale
“Mia moglie”: il nome dice tutto
I nomi dei gruppi sono significativi?
Dott. Pellicano: Nulla è casuale. “Mia moglie” non è un dettaglio: è un atto di possesso. “È mia, decido io.”Il gruppo diventa il palcoscenico del dominio narcisista, la fiera dove mostrare il proprio trofeo.
Quando la vittima diventa colpevole: il ribaltamento della colpa
E se la moglie reagisce con rabbia?
Dott. Pellicano: È qui che scatta il meccanismo più perverso: il ribaltamento della colpa. L’uomo, colto in fallo, dice: “Sei troppo permalosa”, “Ma se ti ho chiesto il permesso!”, “Lo fanno tutti, sei tu che fai storie!”. A volte arriva a dire: “Se non vuoi che lo faccia, non girare in casa in quel modo!” — come se fosse lei a doversi nascondere. È un meccanismo di difesa narcisistica: chi viene smascherato attacca chi lo ha messo in discussione.Così, chi viola il confine accusa chi lo difende. La vittima non solo subisce, ma deve giustificare la propria reazione.
Cosa fare se scopri di essere stata condivisa
Cosa può fare nel concreto una donna che scopre che una sua foto è stata condivisa online ?
Dott. Pellicano: Sintetizziamo dicendo:
- Non sentirsi in colpa: il problema non sei tu.
- Documenta tutto: screenshot del post, del gruppo, dei commenti.
- Chiedi spiegazioni con fermezza: “Non autorizzo la condivisione del mio corpo. Questo mi ferisce.”
- Segnala il contenuto su Facebook, Instagram o altre piattaforme come “condivisione non consensuale”.
- Se necessario, rivolgiti a un avvocato o a un centro antiviolenza e richiedi supporto psicologico, probabilmente sei incappata in una relazione tossica.
E soprattutto: non dubitare della tua reazione. Sentirsi violate non è esagerato: è un segnale di salute psicologica.
L’amore vero protegge
Con quale messaggio finale ci vuole lasciare?
Dott. Pellicano: Il rispetto non è un optional. Se ti senti ferita, arrabbiata, umiliata… hai ragione. Non sei “esagerata”. Sei una persona che merita rispetto. L’amore vero non espone umiliando al dignità altrui. L’amore vero protegge. E se qualcuno ti usa per accrescere il suo ego mostrando la tua privacy ad altri, forse non ti ama e rispetta. Tu meriti di più.

Ezio Pellicano, psicologo e psicoterapeuta